Le ragioni del NO, referendum sulla giustizia.
Intervento del senatore Franco Mirabelli ad una videoconferenza organizzata dal PD regionale.
La grande partecipazione dimostra che l’incontro riguardante i referendum sulla Giustizia era opportuno per approfondire i temi dei quesiti e fare chiarezza sulla posizione espressa dal PD.
In questi mesi si discute molto sulla Giustizia in Italia che funziona male; si è ridotta la credibilità della Giustizia e anche della stessa magistratura, anche a causa di scandali. Penso, quindi, che dobbiamo partire da qui con il ragionamento e dobbiamo porci la domanda sul che cosa deve fare la politica per ricostruire fiducia nella Giustizia e per fare le riforme che facciano funzionare meglio le cose.
Per arrivare questo risultato, infatti, servono riforme e non un appuntamento referendario, oltretutto promosso da 9 Consigli Regionali a trazione leghista e non dalle firme dei cittadini.
I referendum – basta assistere a qualunque dibattito in questi giorni – sono stati voluti a prescindere dal merito delle questioni, per ritornare su un copione che non ha aiutato la Giustizia italiana in questi anni.
Le responsabilità del non funzionamento della Giustizia in Italia, probabilmente, sono di tutti ma non serve ritornare ad un dibattito tutto ideologico – che dura da molti anni in questo Paese – e che contrappone magistratura e politica e legge tutto dentro l’ottica di garantisti contro giustizialisti.
Questo non è servito negli anni e non serve ora.
Credo che la motivazione che ha dato Letta nella Direzione Nazionale del PD spiegando il perché dei 5 No, – cioè per il fatto che questi 5 referendum possono essere solo dannosi e non portano a nessun vantaggio – sia molto legata a quello che è successo nell’ultimo anno.
Abbiamo avuto l’occasione di questo Governo di larghe intese ma anche di un PNRR che ci ha costretto a mettere mano ad alcuni dei problemi patologici del Paese, tra cui la Giustizia, il mal funzionamento della Giustizia, il tema della mole enorme di arretrati e di tempi lunghissimi per i processi civili e penali.
Su questo bisognava intervenire e l’abbiamo fatto.
Non trovo proprio nessuna ragione per spiegare che la vittoria dei sì sarebbe una svolta epocale.
Penso, invece, che la riforma del processo civile e quella del processo penale approvate dal Parlamento possano cambiare le cose (vedremo poi meglio con i Decreti attuativi) e sono fondate su principi giusti, che cercano di portare i contenziosi fuori dai processi; cercano di ben definire le fasi temporali dei processi sia civili che penali per garantire tempi più rapidi.
A questo si aggiunge la riforma Cartabia sull’ordinamento giudiziario, che è già stata approvata alla Camera dei Deputati.
Si aggiungerà la riforma della Giustizia tributaria, su cui siamo ormai alle ultime battute.
Si sono aggiunte, inoltre, altre riforme importanti.
In tutto questo dibattito ideologico, nessuno ha sottolineato che abbiamo fatto anche altro, tra cui un provvedimento molto importante che riguarda la presunzione di innocenza.
Grazie ad un emendamento PD, da quando è entrato in vigore quel provvedimento, si sono molto ridotte le conferenze stampa dei Pubblici Ministeri che illustrano l’inizio delle loro indagini e che spesso avevano la conseguenza di far finire sulle prime pagine dei giornali persone che erano soltanto indagate: ora, infatti, le conferenze stampa devono essere autorizzate e motivate.
Abbiamo modificato anche il reato di abuso d’ufficio.
Abbiamo messo a disposizione della magistratura – e qui davvero non comprendo lo sciopero della magistratura sulla riforma Cartabia – e del potenziamento degli uffici giudiziari 18mila persone, assunte con i soldi del PNRR, per far funzionare gli uffici del processo e abbiamo messo molte risorse per la digitalizzazione dei tribunali.
Abbiamo fatto, quindi, molte cose.
Di fronte a tutto ciò, anziché valorizzare il lavoro che si è fatto e il tentativo di dare risposte concrete ai problemi della Giustizia, rischiamo di riprecipitare dentro ad un dibattito tutto ideologico che in tutti questi anni non ha portato a niente.
Penso che questo sia un problema, che molti di noi avevano colto all’inizio perché, quando la Ministra Cartabia aveva cominciato ad affrontare il tema delle riforme, la questione dei referendum è apparsa sicuramente come stonata.
Voglio soffermarmi sulla Legge Severino, oggetto di un quesito referendario.
C’è una parte di quella legge che andrebbe cambiata e che prevede la sospensione per i sindaci condannati in primo grado. Quella norma è sbagliata e, quasi un anno fa, abbiamo depositato in Senato un disegno di legge per cambiare esattamente quella parte. Tutti erano d’accordo ma, da quando è nata l’idea del referendum, la Lega ha bloccato l’iter del provvedimento perché altrimenti avrebbe vanificato il senso del referendum.
Questo tema comunque lo riprenderemo dopo il referendum, che non credo che possa avere successo.
Un altro quesito, se approvato, toglierebbe la possibilità di mettere in campo tutte misure cautelari – quindi, non solo la custodia cautelare in carcere – nel caso di rischio di reiterazione del reato.
Si evoca sullo sfondo il tema della carcerazione preventiva ma, mentre altri raccontavano di voler chiudere le persone in cella e buttare via le chiavi, lasciando la gente a marcire in carcere, nella riforma del penale noi abbiamo insistito perché il carcere diventasse sempre di più l’estrema ratio nel nostro Paese e che si potessero mettere in campo altre misure come la messa alla prova, gli arresti domiciliari, la giustizia riparativa, cercando di ragionare su un sistema che faccia scontare le pene non necessariamente all’interno del carcere.
Più facciamo dibattiti con i sostenitori del referendum, soprattutto con la Lega, più il tema di votare No anche sugli altri tre quesiti diventa politicamente dirimente e decisivo.
Stanno, infatti, cominciando a spiegare che anche se non si raggiungerà il quorum, comunque bisognerà tenere conto dell’esito del voto nell’approvazione della riforma Cartabia. Questo è stravagante ma l’idea di fondo è che o questi referendum falliscono in maniera netta, chiara e visibile o rischiamo che quando arrivi la discussione in Senato sulla riforma dell’ordinamento giudiziario ci si ritrovi a dover rimettere in discussione un provvedimento che è stato costruito con grande equilibrio, grande fatica e, francamente, sarebbe molto grave se non si portasse in porto, non tanto per il PNRR, anche se questa è una riforma di sfondo a tutto il progetto ma, soprattutto, perché torneremmo di nuovo indietro a una discussione che non aiuta a mettere in campo le misure concrete – questa deve essere la nostra ottica – che servono a migliorare la giustizia, guardando all’interesse dei cittadini.