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Le sfide dell’ex Stalingrado d’Italia

La “Mecca del Nord Italia”?

Nella “Stalingrado d’Italia” non si parla solo di vecchie fabbriche e nuovi quartieri. Da più di dieci anni le amministrazioni comunali discutono della possibilità di costruire una moschea nel territorio di Sesto San Giovanni, su richiesta del centro culturale islamico della città.

Dal 2015 l’associazione ha sede in una struttura provvisoria in via Bernardino Luini, all’estremità nord delle ex aree Falck, costruita appositamente e incastrata tra i binari ferroviari da un lato e una serie di villette a schiera dall’altro.  È un prefabbricato grigio con il tetto spiovente, decorato da nastri e manifesti che accolgono i fedeli.

Nel 2012 la giunta di Giorgio Oldrini (Democratici di sinistra) ha concesso al Centro culturale islamico i diritti per costruire «edifici e attrezzature destinati al culto, a servizi religiosi e socio-culturali» sui terreni in via Luini. Nel 2013, con la nuova giunta di Monica Chittò (Pd) è stata firmata una convezione che definiva i dettagli per la costruzione della moschea. Secondo fonti stampa, sarebbe stata finanziata dai fedeli e avrebbe dovuto occupare un’area di 2.450 metri quadrati, quasi quattro volte quella di Segrate, la più grande moschea della città metropolitana, che si estende su 658 metri quadrati.

Nel 2017, non appena entrato in carica, l’attuale sindaco Di Stefano ha fatto decadere gli accordi, annullando i permessi e quindi bloccando la costruzione della moschea, principalmente perché il Centro non aveva iniziato i lavori di bonifica entro i termini stabiliti dalla convenzione del 2013 e aveva nel frattempo maturato un debito da più di 300 mila euro. L’anno successivo il Centro culturale islamico ha vinto il ricorso presentato al Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Lombardia, riaprendo la possibilità di costruire la moschea.

Ma nel 2019 il Consiglio di Stato (l’ultimo grado di giudizio della giustizia amministrativa) ha dato ragione alla giunta Di Stefano, che quindi ha bloccato nuovamente i lavori.  
«I sestesi possono stare tranquilli: a Sesto San Giovanni, con noi, non verrà costruita la moschea», ha detto Di Stefano

Durante la campagna elettorale, diversi organi di stampa hanno affrontato il tema della potenziale moschea di Sesto San Giovanni, sostenendo tra le altre cose che il candidato di centrosinistra Foggetta sarebbe favorevole alla sua costruzione, accuse riprese anche da Di Stefano sui propri canali social. 

«La “Grande moschea”, o la “Mecca d’Italia”, come è stata definita, non sarà a Sesto», ha risposto Foggetta, sottolineando che il progetto presentato nel 2012 è effettivamente stato ritenuto eccessivo rispetto alla realtà sestese. Ma ha anche fatto notare che il Consiglio di Stato ha imposto «di garantire il diritto di culto alla comunità musulmana» e quindi la città «dovrà comunque mettere uno spazio a disposizione dei fedeli».

L’imam del Centro Culturale Islamico, Tchina Abdullah, ha detto che sarà disponibile per commentare la situazione solo dopo i risultati del voto del 12 giugno. 

L’emergenza abitativa

Un tema che la coalizione Di Stefano tiene ai margini della campagna elettorale è l’emergenza abitativa, che negli ultimi cinque anni ha coinvolto decine di famiglie sestesi ed è diventata particolarmente complessa. I problemi riguardano in particolare le procedure di assegnazione delle case popolari, le cui graduatorie sono state ritenute discriminatorie dal Tribunale di Milano. 

Oltre tutto nel 2018 la giunta Di Stefano ha introdotto requisiti aggiuntivi per i soli cittadini stranieri interessati a partecipare ai bandi per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp), rendendo necessaria la presentazione di un documento, rilasciato dal catasto del Paese d’origine, che attestasse il mancato possesso di proprietà immobiliari all’estero. In seguito a vari ricorsi il Tar ha inizialmente dato ragione al Comune, ma a marzo 2020 il Tribunale ha giudicato discriminatoria questa condotta, chiedendo di modificare il bando (sentenza confermata anche in Appello, a maggio 2020). Il commento di Di Stefano: «Non c’è nulla di più indegno che utilizzare le fragilità e i problemi delle persone per farsi una personale campagna elettorale», e che la sua amministrazione «ha sempre vigilato perché gli aiuti e i supporti venissero dati senza discrezionalità».

C’è anche un altro problema che che si trascina e riguarda una serie di famiglie in difficoltà a cui la giunta precedente aveva messo a disposizione appartamenti privati, affittati direttamente dal Comune, a fronte del pagamento di una piccola parte delle spese, circa cento euro. La nuova giunta ha ritenuto illegittima questa soluzione, e ha cercato di liberare gli appartamenti in modo anche da eliminare le spese a carico del Comune

Tra gli immobili interessati dal problema c’è anche il Residence Puccini, un complesso di 115 appartamenti non troppo lontano dal Centro culturale islamico, dalle ex aree Falck e dalla fermata della metropolitana di Sesto 1° Maggio FS. Qui la precedente giunta Chittò ha collocato in sublocazione sette famiglie, che negli ultimi cinque anni si sono trovate più volte a rischio sfratto. Alcune di queste erano, e sono tutt’ora, in situazioni difficili. «In un nucleo, il marito era stato condannato a 14 anni di carcere, mentre il figlio soffre di distrofia muscolare», ha raccontato Gianluigi Montalto, avvocato dell’Unione Inquilini che ha seguito molti di questi casi.

 
Nell’ultimo periodo a ridosso delle elezioni le cose sono migliorate!
A inizio 2022 il Comune ha aperto cinque bandi, dal valore complessivo di un milione di euro, per aiutare i cittadini in difficoltà a causa dell’emergenza abitativa, e a marzo la vicenda del Residence Puccini si è risolta con l’assegnazione alle sette famiglie coinvolte di case popolari gestite dalle Aziende lombarde per l’edilizia residenziale (Aler). 

Sul tema della casa, inoltre, la politica locale sestese si allaccia a quella nazionale. Claudio D’Amico (Lega), assessore, tra le altre cose, alle Politiche abitative, è noto per i suoi legami con la Russia, con il segretario del partito Matteo Salvini e con Gianluca Savoini, ed è stato coinvolto nell’affare “Moscopoli” del 2018.

 
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