Sesto San Giovanni andrà al voto il 12 giugno, dopo i primi cinque anni di governo del centrodestra nella sua storia.
Come in altri circa mille comuni italiani, anche a Sesto San Giovanni il 12 giugno i cittadini andranno al voto per eleggere chi amministrerà la loro città per i prossimi cinque anni.
Sesto non è un capoluogo di regione e nemmeno una provincia, ma la sua storia la rende un ottimo esempio di come l’Italia stia cambiando: negli ultimi anni infatti la città ha avuto a che fare con enormi progetti di riqualificazione edilizia, differenze culturali e religiose spesso sfociate in labirinti giuridici, e una trasformazione multietnica che rispecchia la vivacità della vicina Milano, ma di cui non tutti sono contenti.
Il nostro comune si estende per poco meno di 12 chilometri quadrati tra Cinisello Balsamo, Bresso e Cologno Monzese, e separa longitudinalmente le due province di Milano e Monza e Brianza. Nella città tre fermate della metropolitana M1 che arriva fino a piazza Duomo, alla fiera di Rho e alla periferia di Bisceglie, mentre percorrendo viale Monza si raggiunge piazzale Loreto in meno di venti minuti, passando sopra il naviglio della Martesana e attraversando il “nuovo” quartiere di NoLo, pieno di locali spuntati come funghi negli ultimi anni.
Con quasi 80 mila abitanti, Sesto San Giovanni è il secondo comune più popoloso della città metropolitana dopo Milano.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, a Sesto San Giovanni per decenni ha sempre governato la sinistra.
Le amministrazioni si sono alternate tra il Partito comunista e quello socialista, poi il Partito democratico della sinistra, i Democratici di sinistra e infine il Partito democratico, tra il 2012 e il 2017. Cinque anni fa, per la prima volta dalla fine del fascismo, a Sesto ha vinto il centrodestra di Roberto Di Stefano, eletto con Forza Italia ma passato alla Lega nel 2020, mentre era sindaco.
Oggi il mandato è conteso tra sei candidati che rappresentano forze civiche e politiche distanti tra loro, da Rifondazione comunista a Italexit (il partito antieuropeista di Gianluigi Paragone), unite in una fitta rete di alleanze e coalizioni. A prescindere dal colore politico, il prossimo sindaco troverà davanti a sé cinque anni di sfide non facili, che vanno dalla rinascita delle ex aree siderurgiche Falck al prospetto di costruire la moschea più grande del Nord Italia, il tutto dopo due anni di pandemia e con una guerra ancora in corso.
Nel suo piccolo, la città sta già vivendo a pieno i cambiamenti che l’Italia intera, forte anche dei fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), dovrà gestire.
Sesto una città che si trasforma.
Fino ai primi anni ’90 la città era il quinto centro industriale del Paese. La maggioranza dei lavoratori erano occupati in grandi aziende, come le acciaierie Falck, il gruppo Ernesto Breda e le fabbriche Marelli, enormi centri di produzione siderurgica, ferroviaria, bellica ed elettrica.
La vocazione industriale, unita a una forte presenza sindacale e ad anni di amministrazione del Partito comunista, fecero guadagnare alla città il soprannome di “Stalingrado d’Italia”.
Ci sono state, e sono in atto, grandi trasformazioni. Complici la recessione economica e la crisi della siderurgia e dell’energia a livello mondiale, tra gli anni Ottanta e Novanta le fabbriche sestesi hanno fermato la produzione, vendendo gli impianti o abbandonandoli in quelli che ancora oggi si presentano come enormi capannoni inutilizzati. Come l’area Falck, uno spiazzo da 1,5 milioni di metri quadrati – più del 12 per cento dell’intero territorio comunale – fermo dal 1995, quando l’azienda ha spento gli ultimi altiforni.
La riqualificazione delle aree Falck
Quasi trent’anni dopo, la riqualificazione dell’ex area Falck è ancora uno dei temi principali di cui si discuterà in campagna elettorale.
A febbraio 2021 la giunta di destra ha approvato il progetto per la riqualificazione del quartiere “Unione Zero”, dal nome dello storico stabilimento Unione della Falck, e circa un anno dopo sono iniziati gli scavi.
Sul sito del comune si legge che una volta ultimato nel 2026 – lo spazio ospiterà la Città della salute e della ricerca, un complesso con strutture sanitarie come l’Istituto dei Tumori e il centro Neurologico Besta, oltre a un ampio viale «attrezzato con attività commerciali di ogni genere».
Nei piani dell’amministrazione il quartiere diventerà «una vera e propria città nella città, con appartamenti e negozi in cui vivranno e lavoreranno 20 mila persone».
Il progetto include anche un nuovo parco da 14 ettari, 10 mila nuovi alberi, 15 chilometri di piste ciclabili e una nuova stazione a ponte progettata da Renzo Piano che collegherà il tutto con l’attuale stazione ferroviaria e metropolitana di Sesto 1° Maggio.
«Con questa rigenerazione urbana arriveranno in città 3.500 posti di lavoro legati al distretto della salute, 4.800 posti di lavoro tra uffici e attività commerciali, 700 posti letto per studenti, e mille posti letto ospedalieri», è la narrazione del sindaco Di Stefano, che si propone per un secondo mandato: «I lavori delle aree ex-Falck procedono e noi siamo soddisfatti di aver fatto partire sotto questa amministrazione dei progetti che erano bloccati da anni».
Omettendo di ricordare che il piano di riqualificazione delle ex aree Falck, non è nuovo e non è della giunta Di Stefano.
«L’amministrazione Di Stefano si è limitata a portare avanti i progetti delle giunte antecedenti», dal 2011 almeno altre due amministrazioni hanno lavorato al piano per la Città della Salute, e la costruzione dell’Istituto dei tumori e del centro neurologico Besta era stata decisa già nel 2012 da un’intesa tra l’ex sindaca Monica Chittò (Pd) e l’allora governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Le operazioni di bonifica sono iniziate nel 2015, e proseguite a rilento anche a causa di problemi giudiziari tra le società coinvolte.
C’è da dire anche che è pur vero che negli ultimi cinque anni la giunta Di Stefano ha ridato slancio ai lavori, terminando la bonifica del primo lotto e avviando i veri e propri cantieri.
Ma questo non assolve nel metodo e nella forma i comportamenti poco trasparenti ed indiscutibilmente divisivi di questo metodo d’amministrare, il nostro comune.
Non tutti mostrano entusiamo dell’inizio degli scavi.
Michele Foggetta, candidato sindaco di Sinistra italiana sostenuto dalla coalizione di centrosinistra con Partito democratico, Movimento 5 stelle, Europa Verde e varie liste civiche, afferma che il progetto di riqualificazione delle aree Falck «va rivisto insieme alla proprietà e ai cittadini che vivono intorno a quelle aree». Ha spiegato che al momento il piano non prevede la costruzione «dei servizi necessari ad accogliere i nuovi sestesi» che arriveranno nel quartiere, a partire per esempio dalle scuole e che il progetto dovrebbe «sposarsi con la città che già esiste intorno, un fattore che al momento non è garantito».
Pochi mesi dall’inizio dei lavori, i residenti che abitano nelle vie limitrofe agli scavi si sono riuniti nel comitato Residenti Acciaierie Mazzini per protestare contro la mancanza di comunicazione da parte della giunta attuale. Silvia Cesati, rappresentante del Comitato, ci ricorda che «Il progetto è stato pubblicizzato con gli investitori, ma molti cittadini non sanno cosa sta succedendo». Il gruppo ha richiesto più volte un confronto con l’amministrazione comunale, senza mai ricevere risposta. «L’amministrazione dovrebbe rappresentare gli interessi dei cittadini e dei contribuenti, non quelli dei costruttori», ha precisato Cesati, ricordando che il Comitato è sicuramente favorevole alla riqualificazione degli spazi, ma non nei termini decisi dall’amministrazione attuale.
Di Stefano ha risposto affermando che la sua giunta ha rispettato le volumetrie disposte da quella precedente, intervenendo poi sul progetto per «razionalizzare, migliorare la distribuzione delle funzioni, ottimizzare le opere pubbliche e l’auto-sostenibilità dei quartieri».
Oggi l’area in cui dovrebbe sorgere il quartiere “Unione Zero” è molto diversa dai rendering che mostrano il progetto finito. Percorrendo il perimetro della zona un tempo occupata dalle acciaierie Falck si vedono ancora gli scheletri dei capannoni, la centrale termoelettrica, le torri del vecchio acquedotto. Sbirciando tra le transenne che delimitano i cantieri si scorgono macchinari pesanti che scavano, spostano, ricostruiscono. Nel quartiere c’è un via vai continuo di mezzi pesanti, ma i pedoni sono ben pochi: alla vigilia delle elezioni amministrative, insomma, la «città nella città» che dovrebbe in futuro rimpiazzare gli spazi vuoti sembra lontana.
C’è anche da dire che il quartiere “
Unione Zero” – quello attualmente interessato dai cantieri – è il primo degli
oltre dieci lotti che dovranno essere risanati. Per gli altri esistono progetti sulla carta, alcuni più concreti, come il
parco Unione, e altri meno.
In questi ultimi mesi si è chiacchierato molto della possibilità di costruire sui terreni delle ex aree Falck il nuovo stadio delle squadre di calcio di Milano, per rimpiazzare lo storico Meazza.
Il tema ha ancora una volta diviso le forze politiche sestesi: secondo il centrodestra di Di Stefano questo sarebbe «il regalo più bello che si possa fare alla città», mentre per Foggetta «Sesto ha altre priorità», come la riduzione delle polveri sottili e della cementificazione del suolo. Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2020 Sesto San Giovanni era il nono comune più cementificato d’Italia, con un tasso di consumo del suolo del 68,8 per cento.
La “Mecca del Nord Italia”?
Nella “Stalingrado d’Italia” non si parla solo di vecchie fabbriche e nuovi quartieri. Da più di dieci anni le amministrazioni comunali discutono della possibilità di costruire una moschea nel territorio di Sesto San Giovanni, su richiesta del centro culturale islamico della città.
Dal 2015 l’associazione ha sede in una struttura provvisoria in via Bernardino Luini, all’estremità nord delle ex aree Falck, costruita appositamente e incastrata tra i binari ferroviari da un lato e una serie di villette a schiera dall’altro. È un prefabbricato grigio con il tetto spiovente, decorato da nastri e manifesti che accolgono i fedeli.
Nel 2012 la giunta di Giorgio Oldrini (Democratici di sinistra) ha concesso al Centro culturale islamico i diritti per costruire «edifici e attrezzature destinati al culto, a servizi religiosi e socio-culturali» sui terreni in via Luini. Nel 2013, con la nuova giunta di Monica Chittò (Pd) è stata firmata una convezione che definiva i dettagli per la costruzione della moschea. Secondo fonti stampa, sarebbe stata finanziata dai fedeli e avrebbe dovuto occupare un’area di 2.450 metri quadrati, quasi quattro volte quella di Segrate, la più grande moschea della città metropolitana, che si estende su 658 metri quadrati.
Nel 2017, non appena entrato in carica, l’attuale sindaco Di Stefano ha fatto decadere gli accordi, annullando i permessi e quindi bloccando la costruzione della moschea, principalmente perché il Centro non aveva iniziato i lavori di bonifica entro i termini stabiliti dalla convenzione del 2013 e aveva nel frattempo maturato un debito da più di 300 mila euro. L’anno successivo il Centro culturale islamico ha vinto il ricorso presentato al Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Lombardia, riaprendo la possibilità di costruire la moschea.
Ma nel 2019 il Consiglio di Stato (l’ultimo grado di giudizio della giustizia amministrativa) ha dato ragione alla giunta Di Stefano, che quindi ha bloccato nuovamente i lavori.
«I sestesi possono stare tranquilli: a Sesto San Giovanni, con noi, non verrà costruita la moschea», ha detto Di Stefano.
Durante la campagna elettorale, diversi organi di stampa hanno affrontato il tema della potenziale moschea di Sesto San Giovanni, sostenendo tra le altre cose che il candidato di centrosinistra Foggetta sarebbe favorevole alla sua costruzione, accuse riprese anche da Di Stefano sui propri canali social.
«La “Grande moschea”, o la “Mecca d’Italia”, come è stata definita, non sarà a Sesto», ha risposto Foggetta, sottolineando che il progetto presentato nel 2012 è effettivamente stato ritenuto eccessivo rispetto alla realtà sestese. Ma ha anche fatto notare che il Consiglio di Stato ha imposto «di garantire il diritto di culto alla comunità musulmana» e quindi la città «dovrà comunque mettere uno spazio a disposizione dei fedeli».
L’imam del Centro Culturale Islamico, Tchina Abdullah, ha detto che sarà disponibile per commentare la situazione solo dopo i risultati del voto del 12 giugno.
L’emergenza abitativa
Un tema che la coalizione Di Stefano tiene ai margini della campagna elettorale è l’emergenza abitativa, che negli ultimi cinque anni ha coinvolto decine di famiglie sestesi ed è diventata particolarmente complessa. I problemi riguardano in particolare le procedure di assegnazione delle case popolari, le cui graduatorie sono state ritenute discriminatorie dal Tribunale di Milano.
Oltre tutto nel 2018 la giunta Di Stefano ha introdotto requisiti aggiuntivi per i soli cittadini stranieri interessati a partecipare ai bandi per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp), rendendo necessaria la presentazione di un documento, rilasciato dal catasto del Paese d’origine, che attestasse il mancato possesso di proprietà immobiliari all’estero. In seguito a vari ricorsi il Tar ha inizialmente dato ragione al Comune, ma a marzo 2020 il Tribunale ha giudicato discriminatoria questa condotta, chiedendo di modificare il bando (sentenza confermata anche in Appello, a maggio 2020). Il commento di Di Stefano: «Non c’è nulla di più indegno che utilizzare le fragilità e i problemi delle persone per farsi una personale campagna elettorale», e che la sua amministrazione «ha sempre vigilato perché gli aiuti e i supporti venissero dati senza discrezionalità».
C’è anche un altro problema che che si trascina e riguarda una serie di famiglie in difficoltà a cui la giunta precedente aveva messo a disposizione appartamenti privati, affittati direttamente dal Comune, a fronte del pagamento di una piccola parte delle spese, circa cento euro. La nuova giunta ha ritenuto illegittima questa soluzione, e ha cercato di liberare gli appartamenti in modo anche da eliminare le spese a carico del Comune.
Tra gli immobili interessati dal problema c’è anche il Residence Puccini, un complesso di 115 appartamenti non troppo lontano dal Centro culturale islamico, dalle ex aree Falck e dalla fermata della metropolitana di Sesto 1° Maggio FS. Qui la precedente giunta Chittò ha collocato in sublocazione sette famiglie, che negli ultimi cinque anni si sono trovate più volte a rischio sfratto. Alcune di queste erano, e sono tutt’ora, in situazioni difficili. «In un nucleo, il marito era stato condannato a 14 anni di carcere, mentre il figlio soffre di distrofia muscolare», ha raccontato Gianluigi Montalto, avvocato dell’Unione Inquilini che ha seguito molti di questi casi.
Nell’ultimo periodo a ridosso delle elezioni le cose sono migliorate!
A inizio 2022 il Comune ha aperto cinque bandi, dal valore complessivo di un milione di euro, per aiutare i cittadini in difficoltà a causa dell’emergenza abitativa, e a marzo la vicenda del Residence Puccini si è risolta con l’assegnazione alle sette famiglie coinvolte di case popolari gestite dalle Aziende lombarde per l’edilizia residenziale (Aler).
Sul tema della casa, inoltre, la politica locale sestese si allaccia a quella nazionale. Claudio D’Amico (Lega), assessore, tra le altre cose, alle Politiche abitative, è noto per i suoi legami con la Russia, con il segretario del partito Matteo Salvini e con Gianluca Savoini, ed è stato coinvolto nell’affare “Moscopoli” del 2018.
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